Fabio Grassi
Fabio Grassi è, oggi, un pittore di paesaggi. Da ormai vent’anni, protagonista assoluto della sua arte è l’albero. Supportato da validissima perizia tecnica, l’artista dona a chi si avvicina alla sua arte l’incanto di paesaggi unici, reinterpretando con l’attenta fantasia di un esteta inflessibile i paesaggi delle campagne toscane tanto amate (non solo perché vi crebbe: in quante meravigliose opere rinascimentali li abbiamo ammirati!).
Non raffigura però l’immagine di una natura palpitante e selvatica, ma la filtra attraverso i suoi ricordi restituendo visioni elegantissime.
Il suo lavoro sul paesaggio è frutto di uno studio delle opere antiche, non ha nulla né dell’en plen air degli impressionisti, né tantomeno delle opere della generazione romantica precedente, né ancora dei bucolici paesaggi settecenteschi. La ricerca del sublime non è più affare per l’uomo del nostro tempo: ciò che esso cerca è l’incanto di un mondo che non esiste più.
Uomo che tra l’altro è totalmente escluso dall’universo pittorico dell’artista, se non per qualche tetto: esso è presente solo aldiquà della tela. Svanito l’uomo, resta l’albero a fungere da centro focale, a unità di misura dello spazio naturale. Alberi come fantasmi rimasti a popolare un mondo svuotato. In questo mondo la natura è completamente sottomessa alla volontà del maestro: seguendola si placa, perde la sua temporalità e diviene immobile ed eterna. Neanche per un attimo temiamo che le nubi tormentino le fronde con tempestosi rovesci. Il compito che l’artista ci ha affidato è ammirare questi segmenti del suo amore per il bello, fruire della bellezza dei rossi e gialli che si scontrano con i verdi e i blu, placare i nostri animi osservando la solennità con cui le linee verticali degli alberi scandiscono il ritmo della composizione, infrangendosi sui colori di cieli che paiono vicinissimi.
L’intento mimetico passa dunque in secondo piano nelle intenzioni dell’artista: egli seleziona le forme naturali e i colori attraverso un processo puramente estetico. La natura è domata all’interno di strutture quasi architettoniche, che ci rimandano ad un antico amore per la matematica nell’arte: più volte, davanti a questi paesaggi, ci sorprendiamo a chiederci se quei fusti affusolati, quelle linee verticali, corrispondano a una sezione aurea di cui pensavamo di non serbare più ricordo.
La sintesi a cui il paesaggio naturale viene sottoposto è particolarmente percepibile nelle opere a pastello; al limite di un empirico divisionismo, esse aumentano nel fruitore l’impressione di trovarsi di fronte a mondi “altri”, sognati, ricordati, smarriti nelle nebbie della memoria.
Quella dell’artista è una riflessione sul tempo (un’opera come “Frequenze di tempo” è in tal senso illuminante). I suoi paesaggi sono fissati in sezioni spaziali e temporali ben delimitate: in molti casi una leggera foschia cela la profondità della veduta, non permettendo all’osservatore di distrarsi, magari scrutando lo sfondo alla ricerca di dettagli o particolari.
Dicevamo poco sopra che dall’arte di Grassi è esclusa la figura umana: gli edifici sono deserti, le balle di fieno destinate a giacere dimenticate in mezzo ai campi. Diventa però a questo punto importante completare questa riflessione, aggiungendo che anche tutti i membri del regno animale sono esclusi da questo universo estetico: nelle opere di Fabio Grassi non ci sono uccelli in volo, non ci sono cani che vagano per i prati, perfino le onde sembrano immobili, lievissime increspature in un mare di ghiaccio. insomma non vi è nulla che possa suggerire un movimento, il trascorrere di una anche minima unità di tempo. L’incanto non può durare che un istante.
Glauco Manzoni
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