Giorgio Chiesi apr03

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Giorgio Chiesi

Giorgio Chiesi nasce a Felina, in provincia di Reggio Emilia, nel febbraio del 1941.

La famiglia si trasferisce a Milano dove Chiesi completa gli studi e si avvicina al mondo dell’arte.

Conosce nel frattempo alcuni artisti e tra questi in particolare Enzo Vicentini e Gianfranco Ferroni; con il loro incoraggiamento comincia a dedicarsi completamente all’arte. La ricerca del suo segno e del suo stile e lo studio dei soggetti lo accompagnano fino a oggi.

Nel 1970 conosce Giuseppe Migneco e inizia a frequentarne assiduamente lo studio, approfondendo i suoi interessi culturali con il mondo dell’arte. Migneco lo presenta a Paolo Marini, gallerista di Firenze che nel 1979 gli organizza la prima personale, con presentazione in catalogo di Renzo Bertoni.

Negli anni successivi, il legame con Marini e Bertoni sarà determinante per il proseguimento dell’attività di Chiesi che terrà mostre personali nelle maggiori città italiane, sostenuto e incoraggiato da numerosi collezionisti.

A metà degli anni ’90, abbandona la frenetica vita milanese per trasferirsi in campagna dove riscopre la tranquillità di uno studio circondato dal silenzio e dalla natura.

Il percorso artistico del Maestro Chiesi parte dal realismo sociale degli anni ’60, dove con Ferroni, Vespignani, Cappelli e Sughi già si sperimentavano nuove tecniche, essendo alla continua ricerca di nuove e particolari creazioni.

Prosegue negli anni ’70 con lo studio e la scoperta di Bacon e Giacometti; rielaborando e metabolizzando queste conoscenze, il Maestro crea le prime figure che urlano, prevenendo la disperazione dell’umanità, un mondo che appariva già senza futuro, ma travolto da un finto benessere, un benessere materiale e apparente.

L’urlo prosegue anche negli ’80, non più con immagini distorte nel dolore, ma gridando con la stessa forza, utilizzando il colore, dando alle figure quel tono di grigio della morte apparente, non del corpo ma della mente.

Chiesi passa, negli anni ’90, a una pittura con una sorta di ribellione delle cose, dipingendo gli oggetti e le cose di tutti i giorni in un’assolutezza formale: oggetti totemici, nuove civiltà del vedere, una pittura fantastica e ludica.

Ecco allora queste grosse teste, eseguite nel 2000 con gestualità senza ripensamento, vuote da ogni loro pensiero e instradate da vari divieti e cartelli che indicano loro, senza il loro volere, la strada da seguire. I soggetti sono poi contornati da auto, cellulari e lampade ossia tutto quello che la tecnologia moderna ci propone, il tutto eseguito da un primitivismo infantile che ci fornisce suggestioni, suggerimenti e materia di pensiero per il nostro futuro. Le ultime figure del maestro Chiesi sono, infatti, il segno più libero della pittura-non pittura, vista e colta sui muri delle città, nelle gallerie della metropolitana e nelle stazioni ferroviarie, che rielaborata poi dal profondo io dell’artista sfocia in un espressionismo gestuale senza ripensamenti.