Innokentiy Fateev
Nei quadri di Innokentiy c’è il calore di un Paradiso che egli sembra rivivere in sogno, il sogno di un abitante di regioni Fredde (siberiane) immerse nel bianco di una neve magica, un bianco che lascia, all’opera dell’uomo, l’immane compito/piacere della creazione di tutti gli altri colori.
E, infatti, la magia di Fateev si mette all’opera e lo fa come sa fare l’artista nato in certe latitudini estreme: con un’esplosione di colori che scaldano il cuore, come sanno fare soltanto le cupole dorate delle cattedrali nordiche, le facciate violentemente policrome di Mosca oppure alcune evanescenti visioni urbane mediterranee che si specchiano magicamente sul mare, come Burano, o Procida…
Altri viaggiatori provenienti dal Grande Nord hanno sognato (e trovato, ma come solo in sogno si può fare) quei colori, quelle donne, quelle tentazioni: Gauguin, i selvaggi ma vitalissimi Fauves. Tutti però, nell’intimo, come corrosi dalla consapevolezza della temerarietà dai loro sogni. Innokentjy no, lui (nomen/omen) vive un’epoca in cui le distanze non contano – le scie bianche dei jet nel cielo azzurro ce lo ricordano!-, e perciò i sogni di superarle non creano sensi di colpa, come ben si vede in tutte le sue opere: tutto è solare ma anche sfrontato, ludico e infantile come in un’animazione di Bruno Bozzetto, in un paesaggio alla Felix Valloton o alla Franz Marc. Il colore si percepisce perfino nei bianchi e neri delle incisioni, memori degli incanti amalfitani di Escher.
Lo storico direbbe che più ancora il Kandinsky della fase figurativa è nel DNA di Innokentjy Fateev, il Cavaliere Azzurro, che è il progenitore delle sue colline rosa, delle sue rocce giallo oro, dei verdi cactus, delle sue bagnanti fucsia, delle ragazze in blu che si immaginano immerse in sogni tecnologici via web…
I colori del Mediterraneo, nella tavolozza dell’ormai felicemente italiano Fateev, diventano tavole sensuali imbandite di pescato – ancora una volta azzurro! – cangiante di argento e striato di sangue che si offre agli occhi con non meno verismo (gli sgombri!) che se fosse al piacere del palato. La sua felicità creativa è capace di trasfigurare qualunque cosa in pura bellezza, una bellezza non estranea al soggetto, ma come per noi dall’artista, come estratta dal pennello del pittore e a noi resa di nuovo familiare, riconoscibile, da Paradiso, infine, Ritrovato, seppur era nascosto dietro le cose più umili: una foglia, una carta mossa dal vento, una rossa rete di recinzione in “vile” plastica.
Una pittura dell’Eden Ritrovato, dunque! Tornano alla mente i giardini incantati e naïf del Doganiere Rousseau, le donne immerse nella luce dorata delle tele (e dei bagni) di Renoir, gli iris del giardino privato di Monet, del suo Paradiso privato… Ma senza andare troppo nel passato, ritroviamo – vedasi l’auto bianca in “Fiesta in the field”- echi della contemporaneità trasfigurata dell’americano Hockney, il ricordo dei suoi prati, delle sue piscine immobilizzate (incantate, ancora) da un’eterna estate assolata, in un eterno viaggio a Sud, a quella realissima California d’Europa che è – da sempre – l’Italia.
Quell’Italia che, nelle meraviglie dipinte da Fateev, torna felicemente ad essere la seducente cantata da Goethe e dagli infiniti nordici da secoli in qua, anche per noi italiani, spesso, incapaci di vederla. Torna ad esserlo senza remore, di nuovo, oggi.
Bruno De Feo, marzo 2010